Da Cibo today del 7 giugno 2024
Può una prigione essere un paradiso? Proprio no! Ma guardandola da una certa angolazione magari sì, perfino per i detenuti. Sulla minuscola isola della Gorgona il miracolo si ripete ogni giorno da 150 anni. Oggi con maggiore consapevolezza
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
A Gorgona la prima cosa che vedi quando arrivi col battello da Livorno è questo terrapieno celeste, a mezza costa nel borgo coloratissimo delle casupole dei pescatori. Sopra c’è un murale con l’articolo 27 della Costituzione, quello che fa riferimento alle carceri, alle pene e alla detenzioneIl mare e il borgo di Gorgona
La storia dell’isola di Gorgona
La Gorgona s’identifica col suo carcere, vive in simbiosi con esso (fin troppo). Ma oltre ad essere l’ultima isola-penitenziario d’Europa è anche molto altro. È un pezzo di Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano; è la più piccola isola dell’arcipelago; è geologicamente un pezzo di Corsica con tutto quello che ne consegue in termini di flora; è un ‘quartiere’ della città di Livorno visto che fa parte di quel comune. In passato meta prediletta di conventi e frati, l’isola poi si spopolò (troppe scorribande dei pirati) e il Granduca di Toscana ebbe un gran daffare per riportarci qualche abitante. Vi riuscì facendo leva sull’agricoltura ma ben presto i ‘coloni’ provenienti dalla Lucchesia si riciclarono pescatori seguendo l’esempio dei tanti pescherecci di Ischia o di Camogli (ecco perché il borgo ha sembianze liguri) che venivano qui a catturare acciughe prelibate. Alla fine dell’Ottocento poi, con la Toscana appena entrata nel Regno d’Italia, arrivò la colonia penaleLe nuove vigne impiantate da Frescobaldi a Gorgona e sullo sfondo il Tirreno
La vocazione agricola della Gorgona
Benché la maggior parte dei 220 ettari dell’isola siano ricoperti da pinete, rocce, leccete e colline, la produzione agricola è una vocazione da secoli e il carcere l’ha sempre confermata. In Italia il carcere della Gorgona è considerato un po’ un premio, un luogo ambìto dove andare previa buona condotta a scontare gli ultimi anni di pena imparando un mestiere in un contesto rurale ben lontano dalla media dei penitenziari italiani.
Da alcuni anni la direzione del carcere ha deciso di coinvolgere aziende private esterne per realizzare produzioni agricole in maniera professionale: “si era anche provato a fare il vino per conto nostro, ma faceva piuttosto schifo”, spiega Giuseppe Renna attuale direttore del carcere, “queste cose le devono fare i professionisti e stiamo muovendoci sempre di più così: facciamo dei bandi e scegliamo i partner che ci garantiscono il più alto coinvolgimento dei detenuti sia durante la pena sia dopo”.
Lamberto Frescobaldi, sullo sfondo le vigne a terrazza con muri a secco di Gorgona
Il progetto di Frescobaldi a Gorgona
L’esempio più famoso di collaborazione tra carcere e aziende è quello con Frescobaldi che, occupandosi dei vigneti della Gorgona, è arrivato a presentare la dodicesima vendemmia. Nelle vigne terrazzate e nei filari hanno lavorato in questi anni circa 100 detenuti. Attualmente sono in tre – assunti e stipendiati dalla maison vinicola di Firenze – che lavorano i 2,3 ettari di vigneto a vermentino e ansonica: Saber, tunisino, Daniele, piemontese e Marius, rumeno. “Qui ho proprio la sensazione di prepararmi alla vita che verrà dopo con un lavoro dell’agricoltura” spiega Marius “anche perché vivo attorno ad Asti con la mia famiglia, per cui chissà”. I detenuti sono abituati a parlare coi visitatori, del resto sull’isola (che nonostante la bellezza non può per forza di cose essere una normale meta turistica) si susseguono settimanalmente le visite e i gruppi organizzati. “Com’è questo vino? Sono convinto che sia buono, ma non l’ho mai assaggiato” spiega Marius “perché qui è vietato, quindi al massimo possiamo mangiare un po’ di uva. Però questo lavoro è una benedizione, la giornata ti passa, ti vola anche senza vino” dice ridendo. In carcere l’unico vizio concesso è quello del tabacco, alcol niente.Daniele, Saber e Marius impiegati per Frescobaldi nella vigna a Gorgona
Il vino Gorgona Bianco alla sua 12esima vendemmia
I Frescobaldi – vignaioli da sette secoli – interpretano questo impegno alla Gorgona in maniera mecenatistica da una parte, ma anche produttiva e seriamente imprenditoriale dall’altra evitando enfasi eccessive sull’aspetto sociale del progetto, “orgogliosi” (lo ripete il marchese Lamberto Frescobaldi, inventore di tutto il progetto) di fare un vino per davvero benché le dimensioni non siano neppure paragonabili alle altre tenute di famiglia. Un vino che poi va sul mercato e ha una storia da raccontare che lo rende unico: un vino fatto su un’isola inaccessibile, vinificato in una cantina assai arrangiata (“siamo al livello di un garage wine” dice l’enologo di casa Frescobaldi Nicolò d’Afflitto facendo riferimento ai vini fatti in cantina da semplici appassionati) e però anche un vino che dà una chance a persone in difficoltà e contribuisce ad abbattere il problema della recidiva ovvero del ritorno alla delinquenza dopo la fine della pena. Oltretutto il Gorgona (e vale anche per questo nuovissimo Gorgona 2023, che esce attorno agli 80€) è anche buono.
Le altre produzioni agricole a Gorgona oltre al vino
Ma anche se Gorgona è nota per il vino e il grande progetto di Frescobaldi, le avventure agricole di questo promontorio a 35km e un’ora di navigazione da Livorno non si esauriscono nella produzione vinicola. La colonia penale infatti continua ad essere un’azienda agricola in piena regola. Tutti e 90 i reclusi lavorano. Perché c’è la produzione di olio; ci sono ampi orti pieni di carciofi, insalate e pomodori; ci sono le arnie con le api per il miele; c’è lo spaccio per la rivendita di tutto (la popolazione degli agenti di polizia penitenziaria deve pur fare la spesa).La signora Luisa Citti a Gorgona
Insomma tutti i detenuti di Gorgona sembrano lavorare nell’agricoltura, fuorché uno: “si chiama Jimmy e viene a casa mia a pulirmi il pavimento, non so di dove sia, ma per me l’importante è che sia bravo, ma loro sono tutti bravi e mi vogliono bene: quando c’è la messa nella chiesina non entrano se non sono entrata io”. A parlare è la signora Luisa Citti, 96 anni, l’unica abitante dell’isola. Gorgona conta ancora 11 residenti ufficiali, ma di abitanti fissi dodici mesi l’anno c’è solo e soltanto lei, da sola coi suoi gatti. “La spesa come la fa?” chiediamo alla Luisa entrando a casa sua (la chiave è sulla porta): “il grosso me lo faccio portare dalla vedetta che arriva da Livorno, ma qui compro il pane perché è buonissimo”. Eccola un’altra specificità artigianale: un forno che produce pagnotte, dolci, brioches, biscotti ogni mattina per tutti gli abitanti dell’isola, civili o reclusi che siano, per il fabbisogno dello spaccio e dei refettori. Bestiame a Gorgona e il mare sullo sfondo
Il caseificio e l’allevamento della Gorgona che non c’è più
Le attività fino al 2020 erano anche più ampie a livello agricolo e zootecnico, sull’isola infatti c’era un caseificio, un allevamento di vacche, di capre e di pecore. L’insistente azione animalista congiunta dell’allora sindaco di Livorno Filippo Nogarin e dell’allora sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi (entrambi del Movimento 5 Stelle) assieme agli attivisti della LAV obbligarono alla dismissione degli allevamenti, alla fine delle attività nel macello e allo stop alla produzione di formaggi che pare fosse anche di buona qualità. “Ad un certo punto” ci racconta un collaboratore della struttura di detenzione “hanno impedito di macellare qualsiasi animale, i maiali che abbiamo – che sono maiali da macello – continuano a crescere ma non possono essere più macellati e soffrono non riuscendo a reggersi in piedi. Oltrettutto nelle attività di allevamento lavoravano e imparavano un mestiere utilissimo per il dopo 15 detenuti che oggi non ci lavorano più”.
Insomma qualcuno ha deciso per i detenuti, individuando nell’allevamento una forma di “violenza”. Le belle immagini degli allevamenti e del caseificio sono rimaste solo nel piccolo museo dell’isola, in una mostra fotografica con gli scatti di Pierangelo Campolattano. Un peccato perché oggi Gorgona si configura non solo come un caso peculiare di colonia penale agricola, ma anche come modello replicabile, magari in contesti spopolati e borghi abbandonati dell’Italia interna. Ma per funzionare al meglio a fini di trattamento rieducativo dei detenuti il modello agricolo dovrebbe essere sistemico, permettendo loro di imparare più filiere possibile. In un punto super panoramico le arnie per il miele di Gorgona
Speriamo quantomeno gli animalisti non si accorgano che il carcere sta per dare avvio in questo ecosistema (coerentemente con la storia ancestrale di Gorgona fortemente legata alla pesca) ad un allevamento ittico in mare utilissimo per impiegare altri detenuti.I detenuti lavorano nelle vigne di Frescobaldi a Gorgona
“Qui sembra un paradiso e io mi sento un prescelto” ci saluta Marius mentre continua a mettere a posto le viti di vermentino “ma non mi dimentico mai di essere in prigione e spero di andar via il prima possibile. Conoscere un mestiere per me è un novità e non aspetto altro di mettere in pratica quello che ho imparato qui”.